La guerra del 1991-1995

1992

Il 1 marzo 1992, secondo giorno del referendum sull’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina, un membro dei Berretti Verdi, Ramiz Delalić, sparò su un corteo nuziale serbo nei pressi di Bašćaršija (zona di Sarajevo), uccidendo il padre dello sposo Nikola Gardović. In risposta a questo assassinio, i serbi alzarono delle barricate intorno a Sarajevo.
La situazione era che i musulmani controllavano il centro di Sarajevo, mentre i serbi controllavano il resto della città e le colline intorno ad essa.
Intanto, nella notte tra il 26 e il 27 marzo, le truppe delle Forze Armate della Repubblica di Croazia, in coordinamento con i paramilitari musulmani, attraversarono il fiume Sava, arrivarono a Sijekovac e massacrarono numerosi civili serbi.
La reazione serba non si fece aspettare: le forze paramilitari della Guardia Volontaria Serba, il 1 aprile occuparono Bijeljina, un’importante città nel nord-est della Bosnia ed Erzegovina, uccidendo molti civili musulmani.
Seguì un massiccio e “scambio etnico”: Doboj, Foča, Rogatica, Vlasenica, Bratunac, Zvornik, Prijedor, Sanski Most, Ključ, Brčko, Derventa, Modriča, Bosanska Krupa, Bosanski Brod,Bosanski Novi, Glamoč, Bosanski Petrovac, Čajniče, Bijeljina, Višegrad, Donji Vakuf, e parti di Sarajevo furono i settori in cui i serbi stabilirono il controllo ed espulsero bosniaci e croati. Allo stesso modo, le regioni centrali della Bosnia ed Erzegovina (Sarajevo, Zenica, Maglaj, Zavidovići, Bugojno, Mostar, Konjic, ecc.), videro massacri e fughe della popolazione serba da parte dei musulmani e croati e la migrazione verso le zone serbe.

In risposta allo scoppio del conflitto, i cittadini di Sarajevo, organizzarono una protesta pacifica contro la guerra. I manifestanti entrarono nell’edificio del parlamento, e quando arrivarono a poche centinaia di metri di distanza dal quartier generale del Partito Democratico Serbo presso l’hotel Holiday Inn, Suada Dilberović e Olga Sučić furono uccisi da un cecchino non meglio identificato, probabilmente serbo.
(Questi furono le prime due vittime dell’assedio si Sarajevo che ne ha prodotte 11’541).
In quello stesso 5 aprile, i paramilitari serbi attaccarono l’Accademia di Polizia di Sarajevo, posizione di comando strategica a Vraca, nella parte alta della città e in seguito i serbi occuparono anche altre città strategiche e vicine ai confini della Serbia, come Goražde e Zvornik.
Sempre nell’aprile 1992, il governo bosniaco chiese al governo jugoslavo (quindi serbo, de facto era rimasta solamente la Serbia con il Montenegro all’interno della Jugoslavia) di ritirare le truppe e le armi ma Milošević (l’allora Presidente) ritirò solo alcuni soldati, di numero insignificante.
Il 2 maggio 1992 Sarajevo fu completamente isolata dalle forze serbo-bosniache. Le principali strade che conducevano in città furono bloccate, così come anche i rifornimenti di viveri e medicine. I servizi come l’acqua, l’elettricità e il riscaldamento furono tagliati.
Le forze di assedio cannoneggiarono Sarajevo da almeno duecento bunker situati tra le montagne. Il 29 giugno 1992 sotto pressione internazionale, i serbi lasciarono l’aeroporto all’ONU.

La sede del Parlamento bosniaco, a Sarajevo, in fiamme
Sede del giornale "Oslobodjenje", quotidiano fondato nel 1943
Sarajevo durante l'assedio, in lontananza si vede l'Holiday Inn (costruzione gialla)
Foto durante l'assedio lungo il "Viale dei Cecchini"
1993

Il Tunnel di Sarajevo, principale via per aggirare l’embargo internazionale di armi e per rifornire di munizioni i combattenti, venne completato a metà del 1993, e permise anche alla popolazione di scappare: per questo si disse che il tunnel aveva salvato Sarajevo.

I rapporti sottolineano il fatto che tutti gli edifici di Sarajevo erano stati danneggiati, Tra i danneggiamenti più rilevanti ci furono quelli della Presidenza della Bosnia Erzegovina e della Biblioteca Nazionale, che bruciò completamente insieme a migliaia di testi non più recuperabili.

ll 1 giugno 1993 15 persone rimasero uccise e 80 ferite durante una partita di calcio. Il 12 giugno dello stesso anno 12 persone furono uccise mentre facevano la fila per l’acqua. La più grande di queste stragi fu comunque il massacro di Markale (strage del mercato), avvenuto il 5 febbraio 1994, in cui morirono 68 civili e 200 furono feriti.
In risposta al massacro di Markale, l’ONU impose un ultimatum per le forze serbe affinché ritirassero le armi pesanti oltre un certo punto in un certo periodo di tempo, pena l’inizio di attacchi aerei. Quando si avvicinava la scadenza, le forze serbe accondiscesero. Il bombardamento della città calò d’intensità lasciando intravedere la fine dell’assedio.
Nel 1995, dopo un secondo massacro di Markale nel quale persero la vita 37 persone e 90 ne restarono ferite, le forze internazionali iniziarono a criticare fermamente gli assedianti. Quando i serbi effettuarono un raid contro un sito di raccolta delle armi dell’ONU, i jet della NATO attaccarono depositi di munizioni dei serbi e altri obiettivi militari strategici: era l’inizio dell’Operazione “Deliberate Force”. La città era stata un modello di integrazione multietnica, ma l’assedio spinse le popolazioni a drammatiche divisioni.

Gran parte del 1993 fu dominato dalla guerra croato-musulmana: inizialmente bosniaci e croati combatterono da alleati contro i serbi. Dopo il fallimento del piano Vance-Owen, che prevedeva la divisione del Paese in tre parti etnicamente pure, scoppiò un conflitto armato tra le due parti sulla spartizione virtuale del territorio nazionale. Mostar, già precedentemente danneggiata dai serbi, fu costretta alla resa dalle forze croato-bosniache. Il centro storico fu bombardato dai croati, che distrussero il vecchio ponte “Stari Most” il 9 novembre 1993.

Mostar
Il ponte di mostar, distrutto, in una foto del 1998
Il ponte di Mostar durante la sua ricostruzione
1994

Nel 1994, a Sarajevo, durante l’assedio, fu compiuta la strage di Markale. La NATO autorizzò attacchi aerei nei pressi di Sarajevo. Sempre in quest’anno, l’accordo di Washington pose fine alla guerra tra croati e bosniaci e divise il territorio controllato dalle due etnie in dieci cantoni autonomi, istituendo la Federazione di Bosnia ed Erzegovina.
A questo punto, il Consiglio di Difesa Croato, l’Armata della Repubblica di Bosnia ed Erzegovina, supportate da NATO e dall’Esercito Croato, erano pronti a combattere contro l’Esercito della Repubblica Serba.
La NATO colpì alcuni aerei serbi mentre volavano sui cieli bosniaci, protetti dalla “no-fly zone” delle Nazioni Unite. Seguirono altri attacchi aerei coordinati da operazioni sul territorio bosniaco.

F16 in decollo
Carro armato svedese dell'IFOR
1995 (e il genocidio di Srebrenica)

Migliaia di musulmani-bosniaci furono uccisi l’11 luglio 1995 da parte delle truppe serbo-bosniache guidate dal generale Ratko Mladić nella zona protetta di Srebrenica che si trovava sotto la tutela delle Nazioni Unite.
Il numero di vittime del massacro è ancora incerto ma si parla tra le 8’000 e le 10’000 vittime, alcune delle quali ancora da identificare, poiché furono poste in fosse comuni.
L’ONU durante la guerra, istituì delle zone protette : la città di Sarajevo, Tuzla, Zepa, Goražde, Bihać e Srebrenica, la quale fi demilitarizzata.
L’11 luglio l’esercito serbo-bosniaco riuscì, dopo vari tentativi ad entrare definitivamente nella città di Srebrenica. Gli uomini dai 14 ai 65 anni furono separati dalle donne, dai bambini e dagli anziani.
I responsabili politici e militari della strage sono rimasti largamente impuniti: solamente pochi dei 19 accusati dal Tribunale Penale Internazionale per il massacro di Srebrenica sono stati finora processati e condannati.
Durante i fatti di Srebrenica i 600 caschi blu dell’ONU e le tre compagnie olandesi Dutchbat I, II, III non intervennero: motivi e circostanze non sono ancora stati del tutto chiariti.
La posizione ufficiale è che le truppe ONU fossero scarsamente armate e non potessero far fronte da sole alle forze di Mladić.
Quando i serbi si avvicinarono all’enclave di Srebrenica, il colonnello Karremans diede l’allarme e chiese un intervento aereo di supporto. A sarajevo non inoltrarono la chiamata ma alla seconda richiesta, quando i carri armati stavano entrando, mandarono la richiesta, però gli aerei (F-16) che stavano già circolando da ore in attesa dell’ordine di attaccare avevano nel frattempo ricevuto ordine di tornare alle loro basi in Italia per potersi rifornire di carburante.
Alla fine, solo due F-16 olandesi procedettero ad un attacco aereo, praticamente senza alcun effetto, mentre un gruppo di aerei americani, apparentemente non fu in grado di trovare la strada.
Nel frattempo l’enclave era già caduta e l’attacco aereo fu cancellato per ordine dell’ONU, perché i militari serbi minacciavano di massacrare i caschi blu presenti.
A seguito del perdurare dell’assedio di Sarajevo e delle atrocità, il 30 agosto 1995 la NATO scatenò l’Operazione “Deliberate Force” contro le forze della Repubblica Serba in Bosnia di Karadžić. La campagna militare aerea della NATO, data l’evidente superiorità, inflisse gravi danni alle truppe serbo-bosniache e si concluse il 20 settembre 1995. L’intervento fu fondamentale per ricondurre i serbi al tavolo delle trattative di pace e ai colloqui di Dayton.
L’esempio più evidente di questa politica di distruzione e divisione è la città di Mostar: il famoso ponte “Stari Most”, distrutto nel novembre 1993, è stato ricostruito nel luglio 2004, ma non ha cancellato le divisioni invisibili e i dialoghi inesistenti presenti tra la popolazione.
Il ponte collega di fatto due città distinte: sulla sponda sinistra del fiume Naretva c’è la Mostar croata, quella sinistra è abitata prevalentemente da bosgnacchi. A distanza di 20 anni, insomma, Mostar dimostra come ancora oggi la convivenza tra le diverse etnie sia difficile.

Accordi di pace

La guerra si concluse con la firma degli accordi stipulati a Dayton (Ohio), tra il 1 e il 26 novembre 1995. Parteciparono ai colloqui di pace tutti i maggiori rappresentanti politici della regione: Slobodan Milošević, presidente della Serbia e rappresentante degli interessi dei Serbo-bosniaci (Karadžić era assente), il presidente della Croazia Franjo Tuđman e il presidente della Bosnia ed Erzegovina Alija Izetbegović.
Il bilancio della guerra fu spaventoso: la capitale del Paese, Sarajevo, fu assediata dalle truppe serbo-bosniache per 43 mesi. Ciascuno dei tre gruppi nazionali si rese protagonista di crimini di guerra e di operazioni di pulizia etnica. È stato stimato che tutti gli edifici della capitale furono danneggiati dalla guerra.

Mikhail Evstafiev ha scattato questa foto del violoncellista Vedran Smailović tra le macerie della Biblioteca Nazionale di Sarajevo
Stupri come arma di guerra

Durante la guerra, le forze serbe violentarono sistematicamente donne bosniache musulmane. Nel 2001 il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia condannò alcuni soldati per questo.
Si dice che almeno 20.000 donne, principalmente musulmane, hanno subito violenze dai soldati serbi e quelle incinte dichiaravano di essere state tenute prigioniere fino a quando l’interruzione di gravidanza era diventata impossibile.
Le donne e le ragazze vittime di stupro, continuano ad essere vittime di una società che le ha dimenticate, lasciate senza sostegno. Molte incapaci di formare una famiglia a causa del trauma subito, tante hanno perso i familiari e alcune di loro vive ai margini, continuando a soffrire, come vittime invisibili.

Milošević, Karadžić e Mladić

Ratko Mladić: È stato generale nell’Armata Popolare di Jugoslavia durante le guerre che portarono alla disgregazione della Jugoslavia e capo di stato maggiore dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina.
Il governo degli Stati Uniti offrì 5 milioni di dollari per informazioni che potessero portare all’arresto di Ratko Mladić, che fu arrestato il 26 maggio 2011, dopo 16 anni di latitanza, grazie ad una segnalazione anonima. Il 1 giugno 2011, Ratko Mladić è stato estradato a L’Aia per essere processato presso il Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia. Il processo è ancora in corso, il verdetto finale è previsto per novembre 2017.

Radovan Karadžić: capo politico dei serbo-bosniaci, Presidente della Republika Srpska.
Dal 1996 Karadžić era ricercato per crimini di guerra dal Tribunale Penale Internazionale. L’Interpol aveva emesso contro di lui un mandato per crimini contro l’umanità e il governo degli Stati Uniti offrì 5 milioni di dollari per informazioni che potessero portare all’arresto di Radovan Karadžić.
Dopo varie missioni fallite, il 21 luglio 2008 è stato arrestato dalle forze di sicurezza serbe, dopo quasi tredici anni di latitanza, mentre si trovava a bordo di un autobus a Belgrado, sotto la falsa identità di un militare bosniaco che in realtà era caduto in guerra.

Slobodan Milošević: Presidente della Serbia e della Federazione Jugoslava (morto d’infarto in carcere nella notte dell’11 marzo 2006) non accettava che popolazioni serbe vivessero al di fuori della nuova “piccola” Jugoslavia (cioè la Serbia e Montenegro). Il suo progetto era quello di annettere i territori serbi della Croazia e una buona metà della Bosnia ed Erzegovina (nel 1991 ancora estranea alla guerra), creando così la “Grande Serbia”.

Campi di concentramento e fosse comuni

Anche durante le guerre Jugoslave, ci furono le tristi realtà dei campi di concentramento, uno era situato nei pressi di Prijedor, dove, nel novembre 2013 è stata trovata la più grande fossa comune. Sono ancora in corso analisi per identificare le vittime.

Il pericolo mine è ancora oggi presente: la contaminazione è una grave conseguenza del conflitto scoppiato nel 1992. Tutt’oggi (marzo 2014) sono presenti campi minati in tutto il territorio bosniaco. La Bosnia-Erzegovina fa conto di eliminare tutte le mine entro il 2019.

Sarajevo Red Line

“Sarajevska Crvena Linija” è il nome dell’evento commemorativo, organizzato in collaborazione tra il Comune di Sarajevo e il “East West Theatre Company”, che ha commemorato il 20° anniversario di assedio di Sarajevo.
Si è tenuto 6 aprile 2012 nella strada principale di Sarajevo e consisteva di una grande distesa di sedia rosse per ricordare le 11’541 vittime, infatti furono poste lungo la strada 11’541 sedie.

La "Linea rossa di Sarajevo" vista dall'alto